E' morto Marco, Marco Martinolli, mi diceva stamattina Tommaso, con la voce incrinata, quasi deformata, dallo stupore.
Ed io qui, lontano, intento in tutt'altro lasciavo che passassero secondi e poi minuti per capirci qualcosa.
Ma che dici? chiedevo a Tommaso, e lui mi spiegava che si, un infarto, ed io "ma come cazzo un infarto, ha tre anni più di me" e ... nulla.
Insomma. Scrivo periodicamente centinaia di parole per raccontare il mio rifiuto per questo cumulo di macerie che chiamiamo mondo. Marco era uno dei miei lettori più attenti e fra noi la polemica era sempre dietro l'angolo. Per quella sua intransigente difesa della cristianità alla quale contrapponevo la fiera resistenza dell'antica religiosità romana. Il suo lavoro alla genertel, che spesso l'angustiava ma al quale non rinunciava senza peraltro mai piegar la testa, ci consentiva di dibattere e litigare via mail, scambiare opinioni, ragionare. L'ultima volta pochi giorni fa, gli avevo segnalato che in un sito dei compagni si reclamizzava un convegno negazionista delle foibe organizzato alla Sapienza. Potete immaginare la reazione.
Se la retorica mi fa schifo, mi da il vomito quella funeraria. Tutti a strapparsi le vesti, dopo. "Era un brav'uomo, il migliore, una persona perbene". Mi stanno sullo stomaco queste cazzate da buon borghese.
Eppure.
Eppure, per lui, valgono tutte.
Do alla parola "camerata" un significato rigoroso. Marco non era un camerata. Lo sapeva, glielo dicevo e forse lui ci rimaneva male. Una sensibilità diversa, una diversa essenza. Una volta, però, gli dissi che era come un fratello maggiore, con tutta la rosa di significati.
Potrei strapparvi qualche lacrima, ricordando le serate nelle quali si organizzava la Lega Nazionale di Monfalcone, da lui così fortemente voluta; i pomeriggi a Roiano, quell'ora di pausa rubata ai telefoni di Genertel; o quell'ultima gita assieme a Tarvisio, ad inaugurare la tana di Domenico, con Frengo e Lorenzo. E la sua Simona, esile ma forte.
Conoscevo Marco da poco rispetto a tanti fra voi. Eppure, in un momento particolarmente difficile, mi fu di grande aiuto. Quando gli chiesi come avrei potuto ringraziarlo mi disse solo "siamo amici!". Marco era questo.
Che tu sia fra gli angeli o fiero, in sella ad un cavallo al galoppo, grazie.
Ed io qui, lontano, intento in tutt'altro lasciavo che passassero secondi e poi minuti per capirci qualcosa.
Ma che dici? chiedevo a Tommaso, e lui mi spiegava che si, un infarto, ed io "ma come cazzo un infarto, ha tre anni più di me" e ... nulla.
Insomma. Scrivo periodicamente centinaia di parole per raccontare il mio rifiuto per questo cumulo di macerie che chiamiamo mondo. Marco era uno dei miei lettori più attenti e fra noi la polemica era sempre dietro l'angolo. Per quella sua intransigente difesa della cristianità alla quale contrapponevo la fiera resistenza dell'antica religiosità romana. Il suo lavoro alla genertel, che spesso l'angustiava ma al quale non rinunciava senza peraltro mai piegar la testa, ci consentiva di dibattere e litigare via mail, scambiare opinioni, ragionare. L'ultima volta pochi giorni fa, gli avevo segnalato che in un sito dei compagni si reclamizzava un convegno negazionista delle foibe organizzato alla Sapienza. Potete immaginare la reazione.
Se la retorica mi fa schifo, mi da il vomito quella funeraria. Tutti a strapparsi le vesti, dopo. "Era un brav'uomo, il migliore, una persona perbene". Mi stanno sullo stomaco queste cazzate da buon borghese.
Eppure.
Eppure, per lui, valgono tutte.
Do alla parola "camerata" un significato rigoroso. Marco non era un camerata. Lo sapeva, glielo dicevo e forse lui ci rimaneva male. Una sensibilità diversa, una diversa essenza. Una volta, però, gli dissi che era come un fratello maggiore, con tutta la rosa di significati.
Potrei strapparvi qualche lacrima, ricordando le serate nelle quali si organizzava la Lega Nazionale di Monfalcone, da lui così fortemente voluta; i pomeriggi a Roiano, quell'ora di pausa rubata ai telefoni di Genertel; o quell'ultima gita assieme a Tarvisio, ad inaugurare la tana di Domenico, con Frengo e Lorenzo. E la sua Simona, esile ma forte.
Conoscevo Marco da poco rispetto a tanti fra voi. Eppure, in un momento particolarmente difficile, mi fu di grande aiuto. Quando gli chiesi come avrei potuto ringraziarlo mi disse solo "siamo amici!". Marco era questo.
Che tu sia fra gli angeli o fiero, in sella ad un cavallo al galoppo, grazie.
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